venerdì 6 dicembre 2013

Torta di carote e mandorle

  
Oggi vi propongo questa torta tanto buona quanto semplice e genuina, ci sono pochissimi ingredienti eppure il risultato è davvero strepitoso. Si tratta di un dolce tradizionale e ne esistono parecchie versioni, io lo trovo delizioso, anche servito appena tiepido con panna montata a parte o una pallina di gelato.

Ingredienti:

300 gr di carote
300 gr di mandorle sgusciate
300 gr di zucchero (potete utilizzare anche quello di grezzo di canna)
4 uova
1 limone
1 bicchierino di rum (ci sta benissimo, ma se non lo gradite sostituitelo con del miele o con del succo di limone)
1 cucchiaio di farina (va bene anche quella integrale, serve solo per addensare un pochino il composto)

Preparazione:

Lavorate a lungo lo zucchero con i tuorli d’uovo fino a quando non otterrete un composto cremoso, aggiungete quindi la farina, le carote grattugiate e le mandorle tritate, sempre mescolando con cura. Unite poi al composto la buccia grattugiata del limone e il liquore, montate a neve gli albumi e incorporateli delicatamente al composto, facendo attenzione a non sgonfiarli.


Versate ora l’impasto in una tortiera unta e infarinata (o ricoperta di carta da forno) e fate cuocere in forno a 180° circa per tre quarti d’ora (utilizzate sempre la modalità non ventilata per i forni elettrici).

martedì 8 ottobre 2013

Perchè non mi piace Tata Lucia

Recentemente l’associazione pediatri italiani e alcune associazioni di genitori hanno inviato una lettera all’Autorità Garante per l’infanzia per segnalare alcuni episodi del celebre programma televisivo SOS TATA, nella lettera si faceva riferimento in particolare ad una puntata in cui veniva ripreso per parecchi minuti un bambino di appena dodici mesi costretto ad addormentarsi da solo, in camera, al buio, in preda ad un pianto sconsolato.
Conosco il programma SOS TATA da molto tempo, ormai credo sia giunto all’ottava edizione, chi mi conosce sa che sono critica verso questa trasmissione da sempre, mi stupisce infatti che l’associazione pediatri sia mossa solo adesso, saltuariamente ho visto alcune puntate, e sinceramente trovo che l’episodio segnalato nella lettera al garante per l’infanzia sia solo uno fra i tanti andati in onda da boicottare  e non è nemmeno il più controverso…
Personalmente le mie perplessità su questo programma sono dovute a poche ma fondamentali questioni:

-          I metodi utilizzati dalle tate televisive sono sempre gli stessi, a prescindere dal contesto famigliare e dal bambino.
-       In alcuni episodi, non menzionati nella famosa lettera, le tate televisive impongono alla madre di interrompere senza indugi l’allattamento al seno, ricordo almeno due puntate in cui è successo, e in entrambe la motivazione portata dalla Tata era l’età del bambino, dopo l’anno (meglio se un po’ prima) non c’è più necessità di allattare il bambino secondo la Tata, il seno diventa un bisogno solo della madre che lede all’autonomia del bambino. In uno di questi due episodi, Tata Adriana nota con disappunto che la madre allatta a richiesta la sua bimba di poco più di un anno,  deduce quindi che la bambina abbia preso un “vizio” e la madre ormai ne è schiava, interviene quindi all’ennesima richiesta della bambina di poppare imponendo alla madre di offrirle un biberon con del succo di frutta , ma la bambina lo rifiuta, allora l’idea geniale della tata è quella di attaccare la mamma ad un tiralatte perché possa offrire il suo latte nel biberon, la bambina nel frattempo continua a piangere ed allungare le mani verso il seno della madre, la madre ad un certo punto è costretta a scostarla per attaccarsi il tiralatte, sempre con la piccola a fianco ormai sfinita dal pianto. Ovviamente alla fine la bambina ha rifiutato anche il biberon di latte materno. Un messaggio come quello passato in questa particolare puntata è davvero pericoloso, l’allattamento materno e l’eventuale interruzione sono argomenti che una madre deve discutere con il pediatra o con un consulente certificato sull’allattamento, l’interruzione brusca di un allattamento può avere ripercussioni pesanti sul bambino (il latte materno ricordiamolo è nutrimento a tutti gli effetti anche dopo l’anno) e anche sulla madre (ingorghi e mastite), inoltre i dettami delle tate sull’allattamento sono in aperto contrasto con quanto invece afferma e consiglia caldamente l’organizzazione mondiale della sanità.
-          I genitori hanno sempre un atteggiamento passivo nei confronti della Tata, il genitore appare sempre insicuro, inadeguato e bisognoso della guida della Tata, ascolta le sue indicazioni senza mai avviare un minimo di confronto, anche quando la Tata dopo appena due giorni di osservazione costruisce i profili psicologici di tutti componenti della famiglia, elenca i problemi relazionali  e impartisce le nuove regole. In questo modo la figura della Tata diventa a tutti gli effetti detentrice della verità, la sua parola è legge e  i genitori non hanno diritto di replica.
-       Non sono mai contemplate alternative, come se famiglie e bambini non fossero diversi gli uni dagli altri, ricordo una puntata in cui sempre in nome del dormire da soli e nel proprio letto, due bambini di un anno e tre anni vengono messi a dormire nella loro camera da soli per la prima volta, Tata Lucia pretende che si addormentino ascoltando una specie di carillon, senza il contatto dei genitori a cui erano abituati fino alla sera prima, i bambini ovviamente cominciano a reclamare subito i genitori e quest’ultimi sono costretti più volte a riportarli nel loro letto tra urla e pianti, passano mezz’ore e alla fine il papà non ci sta più e si corica in camera con i bambini e li addormenta narrando loro una fiaba… Tata Lucia a questo punto, anziché apprezzare il fatto che il papà sia riuscito ad addormentare i bambini nel loro letto e nella loro camera, sottolinea come il padre non si sia attenuto alla regola di non confortare i bambini e di aver ceduto ai loro ricatti.
-          La trasmissione, pur andando in onda in orario “ per famiglie”, non tiene conto dei risvolti psicologici se la visione è permessa anche ai bambini, prima di diventare mamma non avevo notato questo aspetto, ma dopo che mia figlia di quattro anni mi ha chiesto perché “ quelle mamme lasciano piangere così i loro bambini”, non ho più guardato il programma in sua presenza.
-      Manca completamente un’informazione seria e supportata scientificamente; ciò non sarebbe problema se le Tate si limitassero a dare consigli ispirati dal buon senso, ma spesso i consigli riguardano l’alimentazione, l’allattamento, aspetti psicologici dell’età evolutiva, temi importanti come l’ enuresi primaria e secondaria (trattate in un puntata come se fossero la stessa cosa).

-          Il canale televisivo non è un canale d’informazione come gli altri, la televisione è presente in quasi la totalità delle famiglie italiane, la sua diffusione supera quella di internet e della carta stampata,  fare informazione in televisione richiede per tanto massima serietà e un minimo di riscontro scientifico, altrimenti è doveroso segnalare all’interno della trasmissione stessa che i pareri riportati sono solo i pareri personali di una singola persona che si basa esclusivamente sulla sua esperienza, per tanto non devono essere considerati al pari del parere di un medico o di un nutrizionista per esempio.

martedì 17 settembre 2013

Contorno di cavolfiore

L’autunno è alle porte e si cominciano già a trovare i primi cavolfiori che ci terranno compagnia durante la prossima stagione invernale, personalmente li ho scoperti da poco, solo da qualche anno, prima li mangiavo sia cotti che crudi ma senza grande soddisfazione, ma i gusti cambiano per fortuna e inoltre questo ortaggio è un vero e proprio toccasana per la nostra salute. Vi propongo un modo per consumarli come contorno, velocissimo da preparare e devo ammettere anche ideale per non riempire la casa del classico odore da cavolo cotto, in quanto non prevede la bollitura.

Ingredienti:

un cavolfiore
olio extra vergine di oliva
burro (una noce)
sale

strumento quasi indispensabile: una buona padella antiaderente!

Preparazione:

Si taglia il cavolfiore a piccoli pezzi cercando di salvare anche le foglie, soprattutto quelle più interne che sono più tenere e buonissime (ci vuole però un cavolfiore di ottima qualità), si sciacqua il tutto sotto l’acqua corrente, magari aiutandosi con uno scolapasta.
Si mette una padella capiente antiaderente sul fuoco con un po’ d’olio d’oliva e una noce di burro (il burro contribuisce a dare aroma e sapore al cavolo, ma se preferite potete usare anche solo l’olio d’oliva) e si aggiunge quindi il cavolo a pezzetti. Si lascia rosolare per bene il cavolfiore girandolo spesso con un mestolo di legno e quindi si sala a piacere, il cavolo dovrebbe già prendere un bel colore quasi dorato in certi punti, io a questo punto aggiungo anche  pochissima acqua per cuocere di più il cavolo, ma dipende dai vostri gusti, le verdure sono ottime anche appena scottate. Quando l’acqua sarà completamente consumata dalla cottura, il cavolfiore è pronto da servire e da gustare.



Per un gusto più deciso e forte potete aggiungere all’olio d’oliva anche due filetti di acciuga sott’olio e un pezzetto di peperoncino, fate rosolare per bene e quindi aggiungete il cavolfiore, la versione più semplice comunque è molto gustosa e almeno per i miei bambini più appetitosa.

lunedì 16 settembre 2013

Il mio allattamento - parte seconda

Quando Agnese compì nove mesi, terminò anche il mio congedo lavorativo, avevo usufruito di tutta la maternità facoltativa e decisi di tornare al lavoro. Avevo un contratto a tempo indeterminato, il lavoro mi piaceva e il mio stipendio era un’entrata rilevante per il bilancio famigliare. Eppure più si avvicinava il giorno in cui sarei dovuta rientrare in ufficio e più mi trovavo a gestire uno stato d’ansia vero e proprio. La mia bambina fino a quel momento era stata accudita da me, si nutriva ancora molto del mio latte, non ci eravamo mai separate per più di un’ora, si addormentava sempre poppando al seno e proprio in quel periodo sembrava molto più attenta ad avermi sempre a “portata di vista”, d’altra parte cosa sono nove mesi di vita? Altrettanti ne aveva passati a stretto contatto con me durante la gravidanza, da poco aveva iniziato a mangiare qualcosa di diverso dal mio latte, era ancora così piccola e così bisognosa dei suoi pochi e importantissimi punti di riferimento, ma nove mesi sono abbastanza per lo stato italiano per imporre un allattamento ad orario, per imporre una separazione dalla madre di un’intera giornata, per pretendere dal bambino un’autonomia del tutto simile a quella di un bambino di tre anni che inizia la scuola materna, e intendo l’autonomia dal bisogno di avere la mamma vicina, l’autonomia di soddisfare il bisogno di nutrimento, consolazione e contatto con qualcosa di diverso dal seno materno ricevuto fino al giorno prima, l’autonomia dal bisogno di ritrovare ogni giorno un ambiente famigliare e il più possibile vicino alle proprie esigenze, l’autonomia dai propri ritmi a favore di orari e ritmi imposti e tutto a questo a soli nove mesi di vita nel caso di Agnese, molto prima per tanti altri bambini.
Mi organizzai con una baby sitter per facilitare il più possibile mia figlia, pensavo che avere una persona completamente dedicata a lei, avrebbe reso meno stressante il distacco, l’impegno economico era maggiore rispetto al nido, ma io stessa ero più tranquilla, non potevo appoggiarmi ai nonni in quel periodo (cosa che avrei preferito) e almeno Agnese avrebbe avuto un minimo di continuità sia per quanto riguarda l’ambiente (casa nostra) sia nel rapporto esclusivo con chi si sarebbe preso cura di lei. Iniziai a produrre delle scorte di latte di materno che congelavo, anche se ben presto scoprì che Agnese non prendeva in mia assenza ne il biberon, ne il bicchiere con il mio latte, mangiava il cibo preparato dalla baby sitter e poi appena rientravo dal lavoro faceva il pieno di latte di mamma per parecchie volte fino al mattino successivo, era incredibile, era come se tenesse duro in mia assenza per poi rifarsi quando tornavo, la mia produzione di latte infatti non è assolutamente calata. Al lavoro, come spesso succede, non ritrovai la situazione che avevo lasciato prima dell’astensione per la gravidanza, il mio ruolo era stato molto ridimensionato e l’atmosfera non era quella che ricordavo. Prima di diventare mamma, il mio impegno nel lavoro è sempre stato molto e responsabile, non mi sono mai sottratta a incarichi e ad orari scomodi, ma  la mia situazione era completamente cambiata,  a casa mi aspettava mia figlia, che aveva bisogno di me molto più del mio datore di lavoro. Non ho atteso molto per richiedere all’ufficio del personale la possibilità di avere un part time, anche temporaneo, che però mi è stato negato senza troppi preamboli. Nel giro di tre giorni, in accordo con mio marito, ho dato le dimissioni e sono tornata ad occuparmi della mia bambina a tempo pieno con grande soddisfazione. Dopo un mese dal mio licenziamento ero già in attesa del mio secondo bambino, è stata una grande sorpresa, allattavo ancora molto Agnese, non era assolutamente una gravidanza programmata, ma ne siamo stati tutti felici da subito, io personalmente ero davvero emozionata, la gravidanza di Agnese l’avevo vissuta con molte paure, ma proprio la mia bambina in quel momento mi dava speranza e mi permetteva di trascorrere più serenamente la dolce attesa.
Agnese aveva diciassette mesi e prima di scoprire la nuova gravidanza avevo già deciso che l’avrei allattata fino a quando lei stessa non avesse deciso di svezzarsi completamente, avevo letto molto sull’allattamento e sapevo che non sarebbe stato di ostacolo alla mia gravidanza, volevo fidarmi del mio corpo, delle mie sensazioni e procedere con ottimismo giorno per giorno. Discussi la mia decisione anche con il  ginecologo, che una volta accertato il buon proseguimento della gravidanza, mi disse che l’allattamento era compatibile con il mio stato interessante fino al quarto mese, poi avrei dovuto gradualmente sospenderlo per evitare le contrazioni dovute alla suzione. Risposi al dottore che mi ero informata e che sapevo che le contrazioni dovute alla suzione si presentavano generalmente dopo il parto, prima erano praticamente assenti e di solito nemmeno avvertite dal corpo della donna, ma il mio ginecologo mi disse che man mano che l’utero cresceva aumentava anche il rischio di avere contrazioni durante l’allattamento. Decisi allora di proseguire l’allattamento fino a quando non avessi chiaramente avvertito fastidio durante la poppata e il medico semplicemente prese atto. Ho continuato ad allattare per tutta la gravidanza senza nessun problema, le uniche contrazioni che ho avvertito sono state quelle dovute a sforzi particolarmente intensi e prolungati come dopo qualche ora trascorsa in piedi a stirare, ma mai durante l’allattamento della mia bambina, anzi sedermi sul divano con lei e offrirle il seno era un modo anche per me per riposare e rilassarmi, una scusa per interrompere qualsiasi incombenza domestica, un modo piacevole per accompagnare velocemente la mia bambina nel sonno, un momento intimo che condividevo con entrambi i miei bambini, infatti spesso verso il finire della gravidanza Agnese poggiava una manina sul pancione mentre poppava e capitava che potesse chiaramente avvertire il suo fratellino fare ginnastica .  Non ho mai temuto infine che l’allattamento potesse togliere del nutrimento al bimbo che portavo in grembo, fisicamente mi sentivo bene, certo i primi tre mesi come per la precedente gravidanza sono stati particolarmente faticosi e caratterizzati da quei fastidi fisiologici che possono presentarsi all’inizio della gravidanza, mi sentivo molto stanca, avevo una nausea fastidiosa e sempre presente, ma nulla di particolare rispetto alla prima gravidanza. Terminato il primo trimestre sono rinata, mi sentivo piena di energie, ero felice e occuparmi di Agnese faceva letteralmente volare le mie giornate.
Quando giunse il settimo mese di gravidanza notai una drastica diminuzione del mio latte, Agnese passava infastidita spesso da un seno all’altro senza trovare soddisfazione, iniziò a chiedermi il latte vaccino, che fino a quel momento aveva sempre rifiutato, accettava di buon grado anche il biberon (mai utilizzato prima), ma continuava ad attaccarsi al seno. Spesso la sera dopo aver poppato da me, chiedeva una tazza di latte vaccino o il biberon, e si addormentava. Sapevo che poteva succedere e sapevo che molti bambini smettono definitivamente di poppare proprio in questo periodo, ma Agnese , pur poppando a vuoto, non ha mai rinunciato un solo giorno ad attaccarsi. Un mese prima della data prevista del parto, durante un controllo, mi trovarono il collo dell’utero molto accorciato e sentenziarono che avrei potuto partorire anche da un giorno all’altro e che l’allattamento avrebbe potuto influire ulteriormente sui tempi, mi dissero anche che comunque al secondo parto era una situazione abbastanza normale, quindi decisi ancora una volta di fidarmi del mio corpo e continuai ad allattare. Arrivò senza nessuna avvisaglia e senza nessun problema il giorno della data prevista per il parto, mi sottoposero in quel mese a vari controlli che confermarono solamente il buon progredire della gravidanza.
Finalmente a quaranta settimane e tre giorni dall’inizio della gravidanza ruppi le acque, in totale assenza di contrazioni, come era successo con Agnese. Ricordo che erano le dieci di sera, mi ero coricata da poco, dopo una cena a casa mia con amici, per i quali avevo cucinato e servito, ed ero a letto con la mia bambina a fianco che si era appena addormentata al seno. Lentamente e senza far rumore scesi dal letto, chiamai mio marito e gli annunciai tranquillamente che era arrivato il momento, telefonai a  mia mamma perché venisse a sostituirmi nel co-sleeping con Agnese e partì alla volta dell’ospedale. Il parto del mio secondo bambino fu bellissimo, vissuto senza paure e in piena consapevolezza, magari prima o poi ne farò un articolo. Il piccolo Paolo poté godere da subito di tutti i vantaggi del mio allattamento già avviato con la sorella, la montata lattea arrivò dopo nemmeno ventiquattro ore dal parto e soprattutto sapevo esattamente cosa fare, le posizioni per allattare un neonato non avevano segreti per me questa volta, Paolo fece la sua prima poppata poco dopo la nascita e da quel momento ebbe sempre il seno a disposizione, mi stupì io stessa di come tutto mi venisse naturale, tutte le insicurezze che avevo vissuto con la mia prima bambina, non c’erano più, tutto ero talmente spontaneo e quasi automatico che io stessa beneficiavo di una serenità e tranquillità che non ricordavo, e la ripresa dal parto fu probabilmente grazie a questo stato d’animo veloce e senza disagi. Firmai per uscire dall’ospedale a quarantotto ore dal parto, mi sentivo bene, Paolo era uno splendore, il suo calo fisiologico quasi assente e ci dimisero prima del tempo senza problemi, non vedevo l’ora di riabbracciare Agnese! A casa la mia bambina mi attendeva trepidante dopo quel primo vero distacco di due giorni, appena mi vide volle subito poppare, proprio quando anche il fratellino si stava svegliando dal suo primo viaggetto in automobile, e così avviai il mio allattamento in tandem, avevo fantasticato molto su questo momento, mi ero documentata per bene, ma nel momento in cui Agnese e Paolo popparono insieme per la prima volta mi resi conto che mi veniva naturale, come se l’avessi sempre fatto.
Allattare in tandem due fratelli di età diversa è stata una bellissima esperienza, ho potuto contemporaneamente nutrire e crescere il mio piccolo appena nato e permettere alla mia prima bambina di abituarsi al fratellino in modo “soft”, senza imporle distacchi prematuri, permettendole di assecondare i suoi tempi e di godere ancora di tutti i benefici dell’allattamento, a quel tempo Agnese aveva da poco compiuto i due anni. Il mio latte bastava per tutti e due, avevo avuto qualche dubbio all’inizio, ma dovetti ricredermi molto presto, il mio corpo produceva latte in base alla richiesta, Paolo cresceva a vista d’occhio, Agnese era tornata ad alimentarsi soprattutto con il mio latte, anche se dopo un mese circa dal parto ha ricominciato a mangiare come prima, io non ho mai accusato enorme stanchezza o debolezza, cercavo di curare bene la mia alimentazione e  riuscivo a riposare meglio rispetto al periodo in cui Agnese aveva pochi mesi, o forse ero ormai semplicemente già abituata ai risvegli notturni.

Ho continuato ad allattare assieme i miei bambini per due anni e mezzo, dopo di ché Agnese ha smesso di chiedere il seno, è stato un cambiamento molto graduale, quasi non me sono accorta, chi allatta bambini grandicelli sa di cosa parlo: iniziano a “dimenticarsi” di poppare per una giornata, poi per due, fino a quando passa un’intera settimana senza chiedere il seno, poi arriva il giorno in cui magari vogliono riprovare ma non si ricordano più come si fa, e allora ti dicono che il latte è andato via o che loro ormai sono diventati grandi , così è stato per la mia bambina, e quando è successo aveva quattro anni e mezzo. Paolo invece è ancora molto legato alle sue poppate giornaliere ma ha due anni e mezzo ,… c’è tempo ancora! 

domenica 15 settembre 2013

Il mio allattamento - parte prima



La nascita della mia prima bambina diede inizio anche al mio allattamento, oltre che all’incredibile avventura di essere madre. Durante la gravidanza avevo seguito un corso pre parto in cui avevo appreso qualcosa sull’allattamento naturale, avevo imparato che il latte materno dal punto di vista nutrizionale era il meglio che potevo offrire a mia figlia, avevo sentito parlare di allattamento a richiesta, di eventuali problemi legati alla scarsa produzione di latte o all’errato modo di attaccare il bambino, ma la mia conoscenza sull’argomento si fermava a questo, del resto mia madre non aveva allattato nessuno dei suoi tre figli e tutto sommato eravamo cresciuti tutti bene senza particolari problemi, tutto sommato quello che mi importava davvero era stringere tra le braccia mia figlia, latte materno o biberon di latte artificiale al tempo non era una questione che ritenevo davvero importante. Mia sorella aveva già una bambina di due anni che aveva allattato per tredici mesi, ricordo benissimo che quando decise di smettere di allattarla (non senza molti sensi di colpa) le dissi che aveva atteso anche troppo, un anno di allattamento mi sembrava un’eternità. Poi nacque Agnese e nacque anche la madre. Durante i tre giorni di degenza all’ospedale non capivo perché le ostetriche e la puericultrice insistessero tanto perché attaccasi mia figlia al seno, io ero davvero provata, volevo solo riposare, mia figlia era sempre accanto a me e se piangeva dovevo occuparmene io, anche se avevo le flebo attaccate (i miei valori di ferro erano scesi moltissimo dopo il parto), cercavo di fare quello che avevo visto fare a mia mamma con mio fratello minore, lunghe camminate in casa con il bimbo urlante in braccio, ma dopo un parto non è una cosa semplice, se attaccavo la bimba al seno dovevo avere vicino comunque la puericultrice perché non avevo la minima idea di come dovessi fare e sembrava che non andasse mai bene, tanto che dopo vari tentativi mi portarono dei paracapezzoli e mi attaccarono per il resto del tempo ad un tiralatte per verificare la mia produzione… ovviamente con il tiralatte non riuscivo a tirare nulla, qualche goccia di colostro e basta, la bambina aveva già superato il calo fisiologico del 10% e le avevano dato qualche ml di latte materno (il mio ospedale poteva vantare una banca del latte per fortuna), ma ero a pezzi, mi sembrava che mi richiedessero sforzi inauditi, che mi opprimessero con richieste assurde ed ero preoccupata per la salute di mia figlia. Quando ci dimisero la pediatra che aveva visitato Agnese mi disse:” signora per il momento non ha ancora avuto la montata, ma presto arriverà, attacchi spesso la bambina al seno, anche se prende 10 ml per volta va bene se la attacca almeno 15 volte al giorno”, 15 volte al giorno?! Tornai a casa riflettendo su questo numero, sicuramente la dottoressa si era sbagliata. Appena rientrata a casa probabilmente feci la prima cosa giusta da mamma: mi concessi una doccia e poi misi a letto con la mia bambina a fianco. Riuscì a rilassarmi finalmente, non avevo nessuno intorno, solo mio marito che mi stava aiutando nel modo giusto ( preparandomi da mangiare e accudendomi in modo che io potessi accudire mia figlia), in quel momento osservando la mia bambina nella penombra realizzai che volevo allattarla a tutti i costi, anzi capì che sentivo il bisogno profondo di allattarla, e provai ad attaccarla al seno con dolcezza. Purtroppo vidi subito che la bimba rifiutava il seno, diedi la colpa ai paracapezzoli utilizzati all’ospedale e mandai subito in farmacia mio marito per acquistarne di nuovi, ma anche con quelli la bambina faticava a poppare, eppure in ospedale il biberon che le avevano offerto se l’era letteralmente sgolato (solo più avanti scoprì che è pericoloso offrire il biberon prima del compimento del mese di vita, perché la suzione è diversa tecnicamente da quella al seno, e il bambino appena nato può confondersi ), ricordo le urla di fame di mia figlia e lo sguardo smarrito di mio marito che sembrava dirmi:” corro a comprare il latte artificiale?” , e alla fine cedetti alla paura e lo mandai a comprare alcune confezioni di latte riformulato. Preparai quindi il biberon con il latte artificiale ma prima di darlo alla bambina mi venne un’idea, feci cadere qualche goccia di latte sul mio capezzolo e riproposi il seno alla piccola, lei avvertì subito il sapore del latte in bocca ancora prima di attaccarsi bene al seno e come per incanto iniziò a poppare avidamente, all’inizio avvertì fastidio perché probabilmente non aveva assunto la posizione giusta ma poi dopo qualche minuto ebbi la netta sensazione che mia figlia stesse poppando bene e rimase attaccata per quasi venti lunghi e meravigliosi minuti! Poi si addormentò sazia e felice.
Da quel giorno iniziai ad allattare Agnese a richiesta e iniziai ad informarmi. Nei mesi successivi mille dubbi mi colsero impreparata, avevo avuto le ragadi al seno, avevo temuto di aver perso il latte quando il seno tornò ad essere morbido e non più turgido come dopo la montata, avevo pesato mia figlia troppe volte per la paura che non crescesse abbastanza nutrendosi solo ed esclusivamente del mio latte, avevo dato colpa al mio latte di essere troppo poco nutriente perché Agnese lo richiedeva anche ogni ora, ma per fortuna non mi fermai ai dubbi e trovate le fonti giuste ebbi anche risposte sensate e rassicuranti. Agnese cresceva molto e bene, da parte mia avevo anche cominciato ad apprezzare il fatto di potermi muovere con la bambina senza preoccuparmi di portare con me scalda biberon, acqua e latte in polvere, avevo sempre tutto quello che serviva a mia figlia per sfamarla, inoltre era tutto pronto in un secondo (il tempo di attaccarla al seno), della temperatura giusta e perfettamente sterile (non ho mai fatto bollire un ciuccio o una tettarella di biberon, non li ho mai usati). Il fatto poi di non dovermi preoccupare di seguire degli orari (allattavo a richiesta) mi toglieva da ogni ansia. Alla visita pediatrica del sesto mese di vita, la dottoressa constatò il perfetto stato di salute di mia figlia, registrò una crescita superiore alla media e mi annunciò che ormai la bimba era pronta per lo “svezzamento”, mi diede due fogli A4 con le istruzioni per iniziare, le dosi e gli ingredienti per preparare le “pappe”, il calendario con l’introduzione dei cibi e gli orari ideali che avrei dovuto cercare di seguire e non dimenticò di avvisarmi che non sarebbe stata una passeggiata. Ammetto che ero contenta ed emozionata all’idea che Agnese iniziasse a mangiare qualcosa di diverso dal mio latte, mi sembrava di essere arrivata ad una di quelle tappe fondamentali che segnano la crescita dei nostri figli, come i primi passi, la prima parola, il primo giorno di asilo… ma non avevo considerato una cosa fondamentale, Agnese era davvero pronta per questo cambiamento? Quando preparai per la prima volta quella specie di brodo vegetale con farina di riso e mezzo vasetto di omogeneizzato di carne mi sembrava di essere una specie di chimico al lavoro, dovevo dosare tutto, un cucchiaino di olio di semi, un altro di oliva… tot grammi di farina, e il risultato, almeno secondo il mio gusto, era piuttosto mediocre, per niente appetitoso, comunque sfoderai il mio miglior sorriso e proposi il primo cucchiaino alla mia bambina che mi guardava incuriosita seduta sul seggiolone, l’assaggio non la disgustò ma non ne volle altri. Dopo qualche minuto iniziò a chiedermi insistentemente il seno. Anche la questione degli orari mi aveva creato problemi, fino al giorno prima avevo allattato a richiesta, ora secondo la pediatra, avrei dovuto allattare alla mattina, proporre un po’ di frutta grattugiata a metà mattina, pappona a pranzo, latte materno prima del riposino pomeridiano, poi mezzo vasetto di yogurt, pappona della sera e latte materno prima di dormire… non riuscivo a capacitarmi del perché di queste indicazioni, mia figlia a sei mesi chiedeva il seno ancora svariate volte sia di giorno sia di notte e fino a quel momento non aveva assunto nessun altro cibo, un cambiamento come quello proposto era drammaticamente difficile, la frutta frullata non sembrava interessarla, e se cercavo di posticipare di un pochino la poppata richiesta erano urla disperate, istintivamente sapevo che non era questo il modo giusto di procedere. Tornai dopo una settimana dalla pediatra per chiedere chiarimenti e lei mi rispose stupita:” Signora, se lei preferisce seguire i ritmi della bambina e continuare ad allattarla a richiesta va benissimo, la maggior parte della madri viene da me con l’intento di iniziare quanto prima a diradare il più possibile le poppate e ad iniziare con un’alimentazione diversa per poter magari lasciare il bambino ad altre persone con più facilità”. Avrei preferito che la pediatra non avesse pensato anche per me, ma era stata onesta alla fine e quindi tornai a casa rassicurata e rilassata e subito avviai quella che solo da due anni viene chiamata “alimentazione complementare” (ed oggi è proposta al posto del vecchio programma di svezzamento) , ossia l’introduzione graduale di cibi solidi ma non in sostituzione del latte materno, bensì a completamento: il bambino è libero di assaggiare altri cibi senza costrizioni o imposizioni, la mamma è comunque tranquilla perché il latte materno fornisce al bambino il nutrimento di cui ha bisogno fino a quando non sarà il bambino stesso a chiedere sempre più cibi solidi e a diradare contemporaneamente le poppate. Nel caso mio e di Agnese questo è avvenuto intorno all’ottavo mese di vita, a quel punto la mia bambina vuotava un piattino di minestra o mordicchiava voracemente il pane, e ci eravamo arrivate senza pianti, senza stress e soprattutto con gioia, perché la vera conquista per me è stata quella di vedere la felicità di mia figlia nello stare a tavola a mangiare con mamma e papà.



domenica 2 giugno 2013

La crostata di frutta fresca

  

Anche se questa primavera è partita un po’ sotto tono, abbiamo comunque già iniziato a godere dei nuovi frutti di stagione che sono tantissimi, coloratissimi e buonissimi, e un modo goloso per gustarli è la crostata di frutta fresca, vi propongo quindi la mia versione: una sana e classica crostata alla crema pasticciera e frutta fresca.

Ingredienti

Per la pasta frolla;
  • 200 gr di farina
  • 2 uova
  • 100 gr di zucchero
  • 100 gr di burro
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci

Per la crema pasticciera:
  • 4 tuorli
  • 1 limone
  • 80 gr di zucchero
  • ½ litro di latte
  • 2 cucchiai di farina

Frutta fresca a piacere ( es: 1 banana, 200 gr di fragole, 1 kiwi)

Facoltativo: 1 bustina di gelatina per torte


Preparazione

Preparate inizialmente la pasta frolla disponendo a fontana la farina assieme allo zucchero su una spianatoia, nel centro versate il burro ammorbidito a pezzetti, un uovo e un tuorlo e il cucchiaino di lievito (quest’ultimo darà alla pasta frolla una fragranza più delicata, ma potete anche non metterlo, nella ricetta classica non c’è). Impastate velocemente fino a quando la pasta non risulterà omogenea, a questo punto io l’avvolgo nella pellicola e la lascio riposare in frigorifero.

Mentre la pasta frolla riposa preparate la crema pasticciera, in una pentola dai bordi alti mescolate bene i tuorli con lo zucchero (io mi aiuto con una frusta) e aggiungete un poco alla volta la farina, mettete a scaldare in un altro pentolino il latte e quando sarà diventato bollente unitelo un poco alla volta alle uova e alla farina sempre mescolando e infine aggiungete anche la scorza grattugiata del limone. Mettete quindi la pentola sul fuoco e portate ad ebollizione la crema sempre mescolando, mantenete una fiamma media e poi quando inizia il bollore mettete pure al minimo. Passati tre minuti di bollore spegnete e lasciate raffreddare la crema.

Lavate e tagliate la frutta fresca e mettetela da parte.

Ora abbiamo tutto quello che ci serve per comporre il nostro dolce. Ritirate la pasta frolla dal frigo, ungete con il burro la tortiera e aiutandovi con il mattarello e un po’ di farina stendete per bene la pasta frolla e adagiatela nella tortiera. Ponetela quindi  in forno già caldo (circa 180 gradi)  per circa 30 minuti.
Una volta cotta la pasta frolla lasciatela raffreddare.
A questo punto sulla base di pasta frolla stendete un strato generoso di crema pasticciera e sopra la crema mettete tutta la frutta fresca che desiderate.
Io alla fine della preparazione stendo sopra l’intera crostata un velo di gelatina per torte, (trovate le bustine in tutti i supermercati nel reparto torte e dolci) perché aiuta a conservare la frutta senza che si ossidi presto all’aria, ma non è assolutamente necessario, anche perché probabilmente la crostata verrà consumata in brevissimo tempo J

lunedì 27 maggio 2013

Come scegliere la scuola materna




La scelta della scuola materna non è scontata e non è sempre facile perché innanzitutto nel nostro paese l’offerta è insufficiente e troppo spesso “omologata”, esistono scuole dell’infanzia private che hanno fatto della qualità del servizio erogato un punto di forza, basti pensare alla scuola steineriana  o alla scuola montessori, ma la maggior parte della famiglie non possono permettersi l’impegno economico che richiede la loro frequentazione, sono comunque convinta che si può e si deve pretendere un livello di qualità medio anche in una scuola dell’infanzia statale, parrocchiale o comunale e per giudicare il livello di qualità, a mio parere, si deve tenere conto di alcuni aspetti fondamentali, consiglio quindi di indagare in fase di scelta soprattutto su questi:


  1. Numero di alunni per insegnante

Più sono i bambini gestiti dalla singola maestra e più il livello di qualità della scuola si abbassa, è inevitabile, le stesse maestre lo sanno benissimo, tante volte mi sono sentita ripetere dalla maestra di mia figlia che tutto sarebbe più facile e più stimolante per il bambino se il numero di alunni per classe fosse al massimo 15.  Spesso in una classe di 27 bambini (come quella che frequentava mia figlia) ci sono dei “tempi morti” per assolvere determinate incombenze, come per far uscire all’aria aperta i bambini d’inverno poiché per vestire tutti i bambini con capotto e berretto si perde troppo tempo, oppure si è costretti a saltare il rituale del lavaggio dei dentini dopo pranzo, altrimenti non si ha il tempo di portare avanti l’attività didattica. In generale con meno bambini le maestre possono trasmettere di più, organizzare più attività, seguire personalmente meglio ogni singolo alunno.

  1. Tempo dedicato all’attività all’aperto

Anche se la struttura che avete scelto non possiede un parco giochi meraviglioso, è importante informarsi sul tempo che nell’organizzazione della giornata tipo a scuola è dedicato al gioco e all’attività all’aperto. Troppo spesso infatti a promesse di uscite giornaliere seguono settimane di attività solo all’interno dell’edificio scolastico. E’ importantissimo che un bambino piccolo possa godere del gioco all’aperto e di tutti i benefici di una buona ossigenazione, inoltre i pediatri raccomandano di far uscire i bambini giornalmente e per almeno un’ora e mezza anche per diminuire le possibilità di epidemia di virus stagionali, che proliferano e colpiscono un maggior numero di bambini quando l’attività didattica è fatta regolarmente solo al chiuso. Molte maestre giustificano il poco tempo dedicato all’attività all’aperto lamentando il poco tempo da dedicare all’attività didattica, ma il parco della scuola deve essere considerato come un’aula per l’attività didattica, altre volte invece si decide senza interpellare i genitori che durante l’inverno è meglio sospendere i giochi all’aperto, ma in realtà il freddo è molto meno pericoloso del caldo afoso per il bambino, che coperto bene deve uscire soprattutto d’inverno quando è massimo il pericolo di contagio da malanni stagionali, tra l’altro il freddo spesso è solo una banale giustificazione, probabilmente il dover vestire quasi trenta bambini comporta troppo dispendio di tempo.

  1. L’accoglienza

Una scuola di qualità deve mettere a suo agio il più possibile il bambino, soprattutto durante l’inserimento del primo anno, le maestre devono prevedere un periodo in cui il genitore possa in tutta tranquillità accompagnare il proprio figlio nel percorso di inizio della nuova e importante esperienza, sappiamo che ogni bambino è diverso ed ogni bambino ha esigenze diverse, lasciare  spazio e tempo all’adattamento del bambino al nuovo ambiente e ai nuovi ritmi è non solo auspicabile ma doveroso.
Per quanto riguarda poi l’accoglienza giornaliera dei bambini all’entrata a scuola devo spendere alcune parole: spesso la scarsità di personale (o meglio il bilancio economico della scuola) impone che i bambini vengano accolti tutti nel salone fino all’inizio delle attività didattiche, ma una buona accoglienza giornaliera, organizzata nel rispetto del bambino, dovrebbe prevedere che il bambino sia accolto dalla sua maestra e nella sua classe, in un clima di tranquillità e poca confusione, in un ambiente rilassante, molti asili invece impongono ai bambini di attendere l’inizio delle attività raccolti in un salone, controllati da insegnanti diverse, in un ambiente caotico e poco organizzato e solitamente, tenendo conto anche di chi usufruisce dell’entrata anticipata, si tratta di un tempo di attesa intorno ai 40 minuti o anche un’ora. Ho potuto constatare la differenza tra i due tipi di accoglienza sua mia figlia, nei giorni in cui la scuola “riesce” ad organizzare l’accoglienza in classe i bambini sono molto più sereni, si “staccano” al momento del saluto dai genitori molto più facilmente e contenti iniziano subito a giocare con i compagni, invece nei giorni in cui l’accoglienza viene fatta in salone i bambini sono più spaesati, più nervosi, non interagiscono subito come in classe, faticano a lasciare andare la mamma, tutto è più difficile.

  1. Le punizioni

Ero convinta che nel 2013 non si parlasse più di “castigo” alla scuola materna, ero convinta che con tutti i passi avanti della pedagogia e della psicologia, l’uso del castigo fosse stato bandito dai metodi didattici applicati sui bambini di tre, quattro e cinque anni, invece ho scoperto proprio con l’entrata all’asilo di mia figlia che non è così. Il castigo o la punizione sono ancora largamente utilizzati come metodi educativi dalle maestre, solitamente si tratta di punizioni “soft” come il time out (ossia lasciare il bambino per qualche minuto seduto in disparte rispetto ai compagni per farlo “riflettere” su quello che ha commesso), oppure può essere una nota scritta su un tabellone appeso in classe, altre volte si tratta di punizioni più pesanti. In ogni caso non date per scontato nulla, chiedete con molta franchezza alla futura maestra di vostro figlio o alle educatrici che incontrerete agli Open day della scuola come si comportano quando il bambino non “esegue un ordine” o non si “comporta bene”. Ricordatevi che vostro figlio per quanto piccolo ha gli stessi diritti di una persona adulta, e tra questi c’è il rispetto assoluto del suo corpo e della sua mente, troppe volte ho assistito personalmente a scene in cui un educatrice si rivolgeva ai bambini con epiteti o urlando, nulla deve giustificare questo, e non aggiungo altro.

  1. Fattore economico, distanza.

Ho elencato per primi i punti che ritengo importantissimi, ovviamente poi nella scelta hanno il loro peso anche il costo della scuola e la comodità di averla quanto più possibile vicina, non nego che all’inizio, nella mia inesperienza, ho basato quasi esclusivamente su questi aspetti la mia scelta, ero davvero convinta che più o meno ogni asilo fosse valido e comunque non molto diverso da tutti gli altri… sbagliavo.

  1. Fidatevi del vostro istinto

Ho lasciato questo punto per ultimo ma è importantissimo, forse è quello che davvero vi farà decidere alla fine sulla scuola per vostro figlio, perché alla fine la differenza più grande nella qualità in una scuola sia pubblica sia privata la fanno le singole persone, potete scegliere la struttura più bella e più all’avanguardia del paese ma se la maestra di vostro figlio non è empatica, non riesce a trasmettere emozioni, non riesce a coinvolgere i bambini, non serve a nulla. Il bambino in età prescolare ha bisogno ancora moltissimo del punto di riferimento, della persona adulta cui chiedere aiuto, protezione, affetto, solidarietà o anche solo un sorriso, a scuola se la maestra trasmette e da tutto questo state sicuri che i bambini che segue staranno bene, nel momento in cui troverete un’educatrice che a pelle vi piace, vi ispira fiducia, la sentite idonea per il vostro bambino, fermatevi perché la ricerca è sicuramente finita.


La scuola materna non è obbligatoria, ma per molte famiglie è necessaria perché entrambi i genitori lavorano e non c’è la possibilità di seguire i propri figli fino all’inizio della scuola dell’obbligo, ma credo anche che possa diventare un’esperienza positiva e stimolante per il bambino  se viene accolto in un ambiente rispettoso della sua integrità e della sua autenticità, sono convinta che è possibile per un bambino frequentare volentieri “l’asilo”, e noi genitori possiamo fare molto perché questo si verifichi nella maggior parte delle scuole, dobbiamo solo non stancarci di interessarci attivamente a quello che succede giornalmente a scuola, dobbiamo mantenere un dialogo costante con le educatrici, non avere timore di chiedere, chiarire, informare, e soprattutto dobbiamo ascoltare il nostro bambino, lui per primo ci fornirà elementi per agire e per aiutare a migliorare la realtà che lo circonda.